La salvezza è arrivata. Ma non c’è festa.
Ad Ascoli, il fischio finale che ha sancito la permanenza in Serie B è stato accolto più con un sospiro di sollievo che con un boato liberatorio. È stato l’epilogo di una stagione logorante, fatta di errori strategici, cambi frenetici in panchina e tensioni societarie. Un campionato giocato pericolosamente sul filo del rasoio, con l’angoscia come compagna fedele e il timore costante di cadere nel baratro della C.
Una squadra costruita male, gestita peggio, salvata da un colpo di reni tardivo, ma sufficiente. Alla penultima giornata, dopo mesi di batticuore, l’Ascoli si è garantito la permanenza nella cadetteria. Una buona notizia, che però lascia in bocca il sapore amaro della sofferenza non necessaria.
Stagione tribolata, identità smarrita
Quattro cambi di allenatore. Un dato che, più di ogni altro, fotografa il caos vissuto all'interno del club bianconero. Dall’inizio alla fine, la squadra ha viaggiato senza bussola, vittima di decisioni affrettate e talvolta inspiegabili. A ogni avvicendamento tecnico è seguita una nuova idea di gioco, un nuovo vocabolario tattico, nuovi uomini. Ma mai una vera svolta.
A pagarne il prezzo è stato soprattutto il gruppo, incapace di trovare certezze in un contesto dove la stabilità era diventata un miraggio. E sullo sfondo, una tifoseria costretta a guardare la propria squadra spegnersi lentamente, senza poter fare altro che gridare il proprio amore dagli spalti.
Un mercato da dimenticare
I numeri parlano chiaro, ma a raccontare il fallimento sono anche le sensazioni. Il mercato estivo, anziché rafforzare l’organico, lo ha appesantito di zavorre. Tanti innesti, pochi realmente incisivi. Scelte sbagliate in fase di scouting, valutazioni discutibili e un progetto tecnico mai davvero definito hanno reso l’Ascoli vulnerabile, soprattutto nei momenti chiave della stagione.
Il campo non mente, e il campo ha detto che questa squadra, così com’era, non poteva ambire a molto di più.
La proprietà: promesse, silenzi e un passo indietro
Ad agitare ulteriormente le acque è stato il tira e molla legato alla proprietà. Massimo Pulcinelli, figura centrale nella gestione bianconera degli ultimi anni, ha più volte fatto intendere la volontà di cedere il club. L’annuncio della messa in vendita ha alimentato speranze e timori, ma non ha mai trovato un seguito concreto.
Nessun passaggio di testimone, nessuna trattativa chiusa, solo un silenzio denso che ha avvolto l’ambiente e congelato ogni prospettiva. Fino al dietrofront: Pulcinelli resta. Ma a fare cosa, con quali intenzioni, con quali investimenti?
La tifoseria, che non ha mai smesso di sostenere la squadra nemmeno nei momenti più bui, oggi chiede chiarezza. E, soprattutto, rispetto.
Il Del Duca: una fede che non retrocede
Se c’è qualcosa che questa stagione ha reso ancora più evidente, è il valore della piazza. Il popolo bianconero ha mostrato, una volta di più, cosa significa appartenere a una maglia, a una storia, a un’identità. Nonostante le delusioni, nonostante le prestazioni, i tifosi hanno riempito gli spalti, hanno cantato, sofferto, spinto.
Una passione autentica, profonda, viscerale. Che oggi chiede solo di essere ricambiata. Non con parole, ma con fatti. Con un progetto. Con una visione.
L’Ascoli che verrà: tempo di scelte
Ora inizia una nuova partita. Quella del futuro. Una partita che si gioca lontano dal campo, ma che sarà decisiva quanto – se non più – di quelle appena vissute. Servono risposte: sulla guida tecnica, sull’organico, sulla direzione sportiva, sulla proprietà. Servono investimenti intelligenti e coerenti, serve una strategia.
Perché un’altra stagione così non è accettabile. Perché Ascoli e il suo popolo meritano di sognare, non solo di sopravvivere.
Il cuore bianconero ha dimostrato di saper battere anche nel dolore. Ora vuole tornare a battere di gioia.
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